La vita di un pupazzetto

Ci sono giornate in cui mi manca, mi manca tutto. E non c’è tempo di piangere o di confessare una lamentosissima giornata fatta di nulla. 

Perché bisogna lavorare, correre, sbrigare faccende, cucinare, litigare, fare pace con se stessi, evitare beghe che sono tante e poi è già sera.

Sono quelle giornate da “sbucciamento di ginocchia”.

Come quando da ragazzo cadevi dalla bici strisciando le rotule sulla nuda terra e magari qualcuno chiedeva se ti eri fatto male e rispondevi male per via del dolore.

Erano tempi diversi da quelli di oggi.

Allora bastava attaccare alle piastrelle un “pupazzetto del formaggino mio” e la giornata comunque svoltava: le ginocchia non erano più un problema.

Oggi mi manca tutto: dalla voci che chiedevano se mi ero fatto male, al pupazzetto del formaggino mio che alleviava il fastidio.

Un pupazzetto come metafora della vita stessa.

Siamo pezzi di plastica attaccati con acqua e sapone alle piastrelle della cucina e ogni tanto cadiamo giù.

Sempre più in basso 

Strisciando le ginocchia.

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