L'effetto rasatura


Mio nonno Pasquale (detto Lino) aveva, come tradizione personale, quella di radersi ogni sera.

Un rito unico che, per qualche ragione, è rimasto impresso nella mia memoria.

Il nonno e rientrava a casa, dopo il lavoro, verso le 18 e dopo una doccia tirava fuori una vecchia scatola di legno nella quale era contenuto un pennello da barba tenuto in maniera maniacale, un rasoio di sicurezza, uno specchietto che ricordava quelli militari,  un sapone da barba, un dopobarba e la matita emostatica.

Dapprima immergeva il pennello in una tazzina di acqua calda e lo lasciava ammorbidire a bagno, poi scartava una lametta, la inseriva con attenzione nel rasoio e ne chiudeva le alette di protezione, si bagnava il viso  e successivamente, con il pennello iniziava a spargere il sapone da barba sul viso.

Un tempo incalcolabile perché il sapone doveva trasformarsi in schiuma e occorrevano gesti precisi e sicuri.

Ai tempi poi, non esisteva ancora la cultura odierna per la cura del viso e per radersi esistevano giusto un paio di saponi che non avevano certo le odierne gradevoli profumazioni, ma ci si sapeva accontentare perché, il momento della rasatura, era come vi dicevo, un vero rito.

Il nonno passava il pennello sul viso con grande attenzione, intingendo le setole in pochissima acqua e distribuendo in modo uniforme e attento la schiuma che montava man mano che andava formandosi, poi iniziava a passare il rasoio con calma, mano ferma e attenzione perché il rasoio era si di sicurezza, ma aveva margini di errore minimi e tagliarsi poteva essere abbastanza facile.

Ma anche nel caso di un taglietto non ci si faceva prendere dal panico, una piccola matita in pietra d’allume risolveva fermando subito il sangue.

Personalmente ero affascinato da quel rito perché, sia nel momento della saponata che in quello della rasatura, ogni uomo fa “facce buffe” e io ero già attratto dal fascino ironico dei volti e della mimica facciale inoltre ero  già alla ricerca del modo di poter ridere di qualcosa.

Ricordo che imitavo le mosse del nonno che sorridendo, a volte passava una piccola e delicata pennellata di sapone sul mio naso.

E forse è proprio lì che si è fermato il ricordo degli odori di sapone e dopobarba

Difatti, terminata la rasatura, arrivava il momento più affascinante, quello del dopobarba che, ai tempi, aveva un unico (o quasi) nome: “acqua velva”. Ne ricordo ancora la scatola: due rombi intrecciati e la scritta nel centro.

Dalla bottiglia scaturivano odori speziati di menta mista a note dolci probabilmente “agrumate” che andavano a profumare e disinfettare il viso del nonno che a termine del rito, si massaggiava soddisfatto il viso.

Ora questo racconto voi lo leggerete in due minuti, ma l’operazione “barba” durava più di mezz’ora ed era il segnale di fine giornata, quello che poi avrebbe anticipato il momento della cena e del ”rischiatutto” in televisione.


Ed è in onore di questi ricordi, che negli ultimi tempi, ho eliminato i vari rasoi bilama trilama, pentalama (dove la prima solleva il pelo, la seconda lo taglia e le altre tre stanno lì a guardare irritando il viso) e recuperato un rasoio di sicurezza, un pennello e le giuste lamette per curare le poche parti del viso lasciate libere dalla mia barba e se devo essere sincero: è tutto un altro andazzo.


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