il primo giorno dell'anno


Il campanello suonava alle sette e trenta, massimo otto del mattino e dopo una notte di bagordi si faticava quasi a sentirla. A quell’ora potevano essere tre i possibili “ospiti”: i testimoni di Geova, i volontari del partito che cercavano di vendere il loro giornale porta a porta o il nonno Pasquale (detto Pasqualino o Lino).

Essendo il primo dell’anno si potevano escludere le prime due opzioni perché in quel giorno non uscivano giornali e anche i testimoni di Geova se ne stavano rinchiusi nelle loro case sperando che nessuno suonasse al loro campanello (chi la fa l’aspetti).

Lo squillo era deciso, pieno e ricordava la marcia dei bersaglieri (di cui mio nonno era fiero di far parte) e non permetteva al sonno altrui di prendere il sopravvento.

Così, in tutta fretta, ci si alzava da letto senza nemmeno togliere le cispe dagli occhi e si apriva il cancello prima che tutto il resto del quartiere si svegliasse.

Pasqualino entrava carico di vischio come se avesse vinto un terno al lotto. La felicità di andare ad augurare buon anno ai suoi cari sprizzava da ogni poro. 

Era sempre il primo del primo a fare gli auguri.

Poi ai tempi non esistevano telefoni cellulari e anche le linee telefoniche erano spesso in condivisione con i vicini (duplex) per cui la presenza dell’essere umano per dare il buon anno a voce si rendeva necessaria.

Subito dopo, il rito, si ripeteva con lo zio Aristide, e ben più tardi con lo zio Umberto che essendo più pigro, ci dava tutto il tempo di lavarci e vestirci a modo. 

Erano tempi in cui la parità tra uomo e donna era un lontano sogno, tempi in cui era l’uomo che doveva prendersi carico degli auguri e le femmine destinate a riceverli, offrendo in cambio tartine (spesso avanzate dalla notte precedente) e bevande.

Ricordo chiaramente il momento in cui mio padre mi diceva che era ora di andare a fare il giro dei parenti.

Un giro proficuo per un bambino, perché i ragazzini a quel tempo, ricevevano sempre una mancia (che poi io dividevo equamente con mia sorella che era costretta al ruolo di damigella al fianco di mia madre).

C’è un particolare che resta impresso nella mia mente e cioè la certezza che i nostri parenti più lontani, fossero convinti che fossimo persone dedite all’uso di alcool, tanto alcool.

Allora non comprendevo (e forse non lo comprendo nemmeno adesso) perché, alle nove del mattino, si dovesse offrire alle persone (invece del caffè di cui tutti avremmo avuto bisogno) la somministrazione di liquori tipo: Punt e Mes, rosso antico, Martini e addirittura Ballantines (ma qui davo la colpa all’assonanza del cognome di mia madre).

Ora nessuno suona più alla porta di nessuno o quasi. 

Siamo rimasti in pochi a ricordare questi alcoolici momenti del primo dell’anno.

Per questo condivido con voi questo mio ricordo e auguro buon anno a tutti.

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